Anoressia
L’anoressia, o più propriamente anoressia nervosa, è uno dei più comuni disturbi alimentari. È caratterizzata principalmente dal rifiuto del cibo: chi ne soffre si sottopone a digiuni e diete molto restrittive, con conseguente e significativo calo del peso, e presenta disturbi dell’immagine corporea (per esempio, sovrastima il proprio peso). Il termine “anoressia” indica la mancanza di appetito, ma in questa malattia il rifiuto del cibo è in realtà legato alla volontà di perdere peso e alla paura di ingrassare.
Si possono distinguere due sottotipi principali di anoressia:
- restrittiva: quando la perdita di peso è ottenuta principalmente attraverso dieta, digiuno ed eccessivo esercizio fisico;
- con abbuffate/condotte di eliminazione: quando vi è alternanza di episodi di abbuffate, cioè l’ingestione di grandi quantità di cibo con sensazione di perdita di controllo, cui seguono comportamenti volti a eliminare le calorie ingerite (per esempio auto-induzione del vomito, uso di lassativi).
Inoltre, esiste una forma di anoressia detta atipica. Chi ne soffre presenta le caratteristiche delle altre forme di anoressia con l’eccezione del sottopeso, rimanendo nel range di normalità del peso corporeo o anche sovrappeso.
L’anoressia è considerata il tipo più pericoloso di disturbo alimentare a causa dell’alto tasso di mortalità, legato sia alle conseguenze che la malattia ha sull’organismo sia ai suicidi. Inoltre, all’anoressia sono spesso associati altri disturbi mentali, in particolare depressione, disturbi dell’ansia e dell’umore e abuso di sostanze.
Come altri disturbi alimentari, interessa soprattutto le donne e si presenta più comunemente durante l’adolescenza. Tuttavia, possono soffrirne persone di ogni sesso ed età: le stime suggeriscono, anzi, che siano in aumento le diagnosi in età sia più precoce sia più avanzata.

Quali sono le cause dell’anoressia?
Come gli altri disturbi dell’alimentazione, l’anoressia non ha una singola “causa madre” ma emerge da un insieme di fattori genetici e ambientali. Dal punto di vista genetico, è noto che (in analogia ad altri disturbi psichiatrici), il rischio di sviluppare anoressia è maggiore per chi ha familiari con la malattia. Gli studi suggeriscono anche che fattori biologici legati ai meccanismi di ricompensa e al processamento dell’ansia nel cervello possano contribuire allo sviluppo dell’anoressia; inoltre, la ricerca sta indagando il possibile ruolo del microbiota intestinale nel promuovere la comparsa della malattia. Anche la presenza di malattie metaboliche, in particolare il diabete di tipo 1, è associata a un maggior rischio di sviluppare anoressia. Si stima infatti che percentuali significative di persone con questa malattia sviluppino anche l’anoressia e limitino volontariamente l’insulina, necessaria per la gestione del diabete, per perdere peso; questo fenomeno è detto diabulimia.
Altri fattori associati a un maggior rischio di sviluppare anoressia riguardano l’infanzia e il rapporto con i genitori, l’esperienza, la personalità e la presenza di altri disturbi psichiatrici e, in generale, fattori sociali e psicologici. Tra questi vi sono per esempio:
- basso peso corporeo durante l’infanzia;
- percezione, da parte dei genitori, che il/a figlio/a sia grasso/a e le prese in giro sul peso eccessivo;
- storia di traumi o abusi;
- tratti della personalità quali perfezionismo, impulsività, compulsività;
- presenza di disturbi psichiatrici, in particolare disturbo ossessivo-compulsivo e depressione;
- esposizione a ideali di bellezza legati all’essere magri;
- pubertà precoce;
- pratica di attività sportive di alto livello.
Quali sono i sintomi dell’anoressia?
L’anoressia può avere sintomi diversi a seconda della persona; inoltre, spesso chi ne soffre tende a nascondere il proprio comportamento nei confronti del cibo, per cui individuare i primi sintomi può non essere immediato per i familiari e le persone vicine. Tuttavia, vi sono alcuni sintomi comuni che è possibile osservare, e che riguardano aspetti comportamentali e fisici. Per esempio, sono sintomi comportamentali comuni:
- perdita significativa di peso;
- preoccupazione per il proprio peso, per il cibo e le calorie ingerite, per la dieta;
- controllo frequente del peso, anche più volte al giorno;
- rifiuto di mangiare determinati alimenti o gruppi alimentari (per esempio i carboidrati);
- paura di ingrassare e commenti frequenti sul proprio essere grassi, anche quando si è sottopeso;
- sviluppo di particolari rituali sul cibo (per esempio mangiare i cibi in un preciso ordine, oppure masticarli in modo eccessivo);
- eccessivo esercizio fisico, anche nonostante eventuali ferite, stanchezza, condizioni metereologiche avverse, eccetera;
- alto consumo di acqua, caffè e bevande dietetiche per limitare il senso di fame;
- negazione del senso di fame;
- scuse per saltare i pasti ed evitamento di occasioni in cui si mangia;
- isolamento dagli amici e dalla famiglia.
A livello fisico si possono osservare:
- disturbi gastrointestinali (crampi, costipazioni, reflusso gastro-esofageo, eccetera);
- difficoltà a concentrarsi;
- vertigini e svenimenti;
- problemi del sonno;
- nelle donne, irregolarità nelle mestruazioni, compresa l’amenorrea (assenza di mestruazioni);
- continua sensazione di freddo;
- debolezza muscolare;
- difficoltà di guarigione di piccole ferite;
- comparsa di una peluria fine sul corpo (lanugo);
- problemi dentali (per esempio carie);
- unghie fragili, capelli e pelle secchi;
- presenza di calli o piccole lesioni sulle mani, dovute all’induzione del vomito (segno di Russell).
A lungo andare, la carenza di nutrienti causata dall’anoressia danneggia tutti gli organi e i tessuti, con effetti particolarmente gravi e potenzialmente irreversibili soprattutto se la malattia compare nell’infanzia o nella preadolescenza, quando lo sviluppo non è completo. Le conseguenze, in particolare quelle che si verificano a livello cardiovascolare, possono essere fatali: il cuore rallenta (bradicardia) e può arrivare all’insufficienza cardiaca. L’anoressia può anche determinare ipotensione. Inoltre, l’auto-induzione del vomito e l’uso di lassativi e/o diuretici determina uno sbilanciamento degli elettroliti, che sono minerali necessari per l’equilibrio dei fluidi, la trasmissione degli impulsi nervosi e la regolazione delle contrazioni muscolari: questo comporta il rischio di aritmie e insufficienza cardiaca e, a livello del sistema nervoso, di convulsioni.
Ancora, l’eccessivo dimagrimento dovuto all’anoressia influenza la regolazione ormonale, perché il tessuto adiposo ha un ruolo importante nella produzione degli ormoni. Questo comporta, nelle persone con anoressia, squilibri in particolare negli ormoni sessuali, che a loro volta determinano, oltre alle irregolarità mestruali fino all’amenorrea (assenza di mestruazioni), anche il rischio di sviluppare altre malattie, come l’osteoporosi. Le conseguenze dell’anoressia interessano anche l’apparato gastrointestinale, provocando costipazione e gastroparesi (svuotamento dello stomaco rallentato e con esso la digestione). L’auto-induzione del vomito danneggia i denti, l’esofago e lo stomaco, mentre le abbuffate possono portare alla perforazione gastrica, una condizione potenzialmente fatale che richiede un intervento d’urgenza. Questi effetti sono presenti anche nell’anoressia maschile, sebbene i dati al riguardo siano ancora limitati rispetto alle molte informazioni raccolte nel corso degli anni per il corrispettivo femminile. Oltre alle conseguenze cardiache, neurologiche e gastrointestinali, anche gli uomini con anoressia hanno livelli alterati degli ormoni sessuali (testosterone), che possono portare, per esempio, a ipogonadismo e disfunzione erettile.
A queste conseguenze si possono unire quelle di altri disturbi spesso associati all’anoressia, quali abuso di sostanze, depressione e disturbi dell’ansia e dell’umore.
Inoltre, è da notare che un disturbo del comportamento alimentare può evolvere in un altro, un fenomeno definito crossover: nel caso dell’anoressia, in particolare, si stima sia frequente il passaggio da un sottotipo della malattia all’altro, e che circa il 34% delle persone con anoressia sviluppi nel tempo bulimia nervosa.
Approfondimenti:
Come si arriva alla diagnosi di anoressia?
La diagnosi precoce è fondamentale, perché più tempestivo è l’inizio del trattamento maggiori sono le probabilità di successo. Questo è particolarmente importante nel contesto dei disturbi alimentari in generale, che possono facilmente diventare cronici e condizionare negativamente tutta la vita di chi ne soffre, sia dal punto di vista fisico sia da quello psicologico.
Tuttavia, le persone con anoressia nervosa (così come avviene con altri disturbi alimentari) tendono a nascondere i sintomi, anche per esempio indossando più strati di abiti per mascherare l’eccessivo dimagrimento. Per chi sta loro vicino può dunque non essere facile riconoscerli subito.
La prima figura di riferimento per la diagnosi di anoressia è il/la medico/a di base o il/la pediatra, a seconda dell’età del paziente. Il/la medico/a può infatti indirizzare a un centro specializzato in disturbi dell’alimentazione dove, attraverso esami di laboratorio e clinici uniti a valutazioni psicologiche e comportamentali, può essere formulata la diagnosi e stabilito il percorso terapeutico più adeguato.
Come si previene l’anoressia nervosa?
Non esiste un intervento di prevenzione specifico e unico per l’anoressia perché, come per gli altri disturbi alimentari, la prevenzione richiede interventi su diversi livelli. Prevenire l’anoressia significa agire a livello di politica sanitaria e sociale, lavorando su tre linee.
- La prevenzione primaria, per ridurre o eliminare i fattori di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione come l’anoressia attraverso programmi e campagne di sensibilizzazione, informazione ed educazione.
- La prevenzione secondaria, per ridurre la diffusione dei disturbi nella popolazione grazie all’identificazione precoce delle persone a rischio. Oltre alla sensibilizzazione delle famiglie, degli operatori scolastici e degli stessi giovani, è necessaria quella per i medici e gli specialisti, così da aumentare la consapevolezza sulla malattia e la capacità di riconoscerla. È inoltre necessario favorire la comunicazione tra le diverse istituzioni che possono essere coinvolte (come scuola, famiglia e sanità) e le condizioni per facilitare la richiesta di aiuto.
- La prevenzione terziaria, per la prevenzione delle complicanze per le persone con un disturbo alimentare conclamato, per il trattamento e la riduzione dei sintomi.
Anche a livello personale, comunque, è possibile contribuire alla prevenzione dell’anoressia e degli altri disturbi dell’alimentazione informandosi su queste malattie, sui fattori di rischio e sui sintomi, ma anche evitando di promuovere ideali di bellezza legati all’essere magri e giudizi basati sull’aspetto estetico (per esempio non usando “grasso” come un insulto), imparando a valutare in modo critico i messaggi trasmessi dai media sull’immagine corporea, non categorizzando gli alimenti in “buoni/sani” e “cattivi/pericolosi” ma ricordando l’importanza di una dieta varia ed equilibrata.
Qual è il trattamento dell’anoressia?
Un trattamento tempestivo massimizza le possibilità di successo nella cura dell’anoressia. La scelta di trattamento dipende da diversi fattori, a partire dalle condizioni del paziente, e può essere ambulatoriale oppure dover richiedere il ricovero per periodi più o meno lunghi. L’approccio terapeutico è multidisciplinare e coinvolge psichiatri, psicologi e nutrizionisti; la psicoterapia è di solito prevista per affrontare i problemi comportamentali, psicologici e sociali che contribuiscono alla terapia. Possono inoltre essere necessari interventi nutrizionali volti a ristabilire un peso nella norma e un’alimentazione corretta. Esistono diversi tipi di intervento nutrizionale e, nei casi più gravi, quando è a rischio la vita del paziente, può essere anche necessario ricorrere alla nutrizione enterale e/o parenterale (cioè, rispettivamente, basate su un supporto nutrizionale somministrato direttamente nel tratto digerente o nel circolo sanguigno).
Inoltre, soprattutto per pazienti nell’adolescenza, è raccomandato il coinvolgimento della famiglia nel percorso terapeutico.
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Korian Redazione
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