Due tecniche d’indagine diagnostica, entrambe basate sul prelievo di un campione, ma con profonde differenze per la modalità della procedura, l’informazione che possono dare, le applicazioni.

In questo articolo parliamo delle differenze tra l’agoaspirato e la biopsia, cercando di dare un quadro sintetico di queste due procedure.

Agoaspirato: cos’è, a cosa serve e come si fa

Iniziamo dall’agoaspirato, il cui nome è già molto indicativo del tipo di tecnica; consiste infatti nel prelievo di un campione attraverso un ago sottile, collegato a una siringa o a un aspiratore. L’esame è di solito condotto sotto guida ecografica e permette di raccogliere un campione di cellule. E, di conseguenza, di eseguire un’analisi citologica

Un’analisi citologica, cioè che studia le cellule isolate o in piccoli gruppi, può dire che tipo di cellule sono presenti nel campione (quindi, per esempio, se vi sono cellule collegate a uno stato infiammatorio, come i neutrofili, o in alcuni casi se sono presenti agenti infettivi). Ne valuta anche la morfologia, cioè l’aspetto, un elemento che può aiutare a distinguere cellule benigne da cellule tumorali (o comunque sospette).

Ecco allora che si delinea il ruolo dell’agoaspirato in diagnostica. Questo esame, minimamente invasivo ed eseguito di norma in regime ambulatoriale, può dare delle indicazioni orientative sul tipo di lesione presente in un organo o tessuto, in particolare se l’area è facilmente accessibile dall’ago. Un esempio di applicazione dell’agoaspirato è la diagnosi di tumore alla tiroide; un altro possibile esempio è il tumore al seno, per il quale questo esame può essere inserito nel percorso diagnostico.

Biopsia: cos’è, a cosa serve e come si fa

Anche la biopsia, lo abbiamo anticipato, è una procedura diagnostica che permette il prelievo di un campione. In questo caso, però, non si prelevano solo cellule: il campione analizzato è quello del tessuto sotto indagine. Si parla in questo caso di analisi istologica. È una differenza sostanziale, perché se l’agoaspirato consente di studiare solo “gli abitanti” (le cellule) del palazzo (il tessuto), la biopsia consente di indagarne anche l’architettura. Permette, cioè, di capire l’organizzazione del tessuto, come le cellule vi sono disposte e interagiscono tra loro. Proprio per questa ragione, la biopsia rappresenta l’esame di riferimento per la conferma della diagnosi della stragrande maggioranza dei tumori (con alcune eccezioni: il tumore alla tiroide che abbiamo già citato ne è un esempio).

Oltre a confermare la diagnosi, la biopsia consente anche analisi aggiuntive (per esempio studi molecolari per definire nel dettaglio le caratteristiche del tessuto) che forniscono informazioni preziosissime anche sul tipo specifico dell’eventuale tumore e sulla sua aggressività, e dunque per indirizzarne il trattamento. 

La biopsia serve quindi quando sono necessarie informazioni più precise e certe su una lesione, e anche se quest’ultima è piccola e profonda. L’esame può avvenire di nuovo con un ago (che sarà però più grosso di quello impiegato per l’agoaspirato), e si parla in questo caso di ago-biopsia o core biopsy; oppure con un intervento chirurgico (biopsia incisionale o escissionale). In altri casi può avvenire con un’endoscopia, cioè l’introduzione di un tubo lungo e flessibile, dotato di luce e telecamera, della sede da analizzare. Inoltre, la ricerca si sta concentrando anche sulla biopsia di campioni liquidi, come il sangue, da usare per la diagnosi precoce, la ricerca di recidive, il monitoraggio del trattamento.

Di norma richiede quindi anche l’anestesia, in genere locale, a meno che la sede del prelievo non sia molto profonda o delicata. Rispetto all’agoaspirato rappresenta quindi un esame più invasivo.

Agoaspirato o biopsia: dipende da cosa serve

L’agoaspirato e la biopsia non rappresentano due esami mutualmente esclusivi, anzi in molti casi possono integrarsi nel percorso diagnostico: il primo può rappresentare il punto di partenza, utile per una valutazione rapida e poco invasiva; la seconda, quando necessaria, consente di arrivare a una diagnosi definitiva e di impostare un piano terapeutico personalizzato.

La scelta di eseguire l’uno o l’altra non dipende solo dal tipo di lesione e dalla sua localizzazione, comunque, ma anche dalle informazioni necessarie per una diagnosi certa e per orientare il trattamento. Questa è una valutazione che il/la medico/a deve prendere con il paziente, che deve sapere cosa aspettarsi, quali informazioni può dare (e quali non può dare) l’esame, così da partecipare in modo consapevole alle scelte per la propria salute.

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