Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi
Esistono tematiche su cui è e sarà sempre doveroso riporre l’attenzione per sensibilizzare e sostenere l’opinione pubblica, la società e tutti coloro che potenzialmente potrebbero confrontarsi con esse. È il caso della disabilità, soprattutto quando questa risulta essere particolarmente impattante tanto sul paziente, quanto su tutti gli affetti che lo circondano e lo sostengono.
In questo senso il 9 febbraio del 2011 è stata istituita in Italia la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi. La data scelta non è casuale, in quanto anniversario del giorno della morte di Eluana Englaro, avvenuta il 9 febbraio di due anni prima. Una ricorrenza significativa, dedicata alle persone in stato vegetativo e di minima coscienza, su cui anche noi di Korian vogliamo soffermarci grazie al prezioso contributo della Dottoressa Laura Ombroni, Direttrice Sanitaria della Casa di Cura Villa delle Terme.
GCA, stato vegetativo e stato di minima coscienza: di cosa parliamo?
In Italia oggi sono circa 4000 le persone che versano in stato vegetativo: si tratta di pazienti che, in seguito a Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA), cioè ad un importante danno cerebrale che può essere dovuto a trauma (per lo più incidente stradale) o a malattia (su base vascolare emorragica o ischemica), permangono in una Stato Vegetativo o in uno Stato di Minima Coscienza.
Lo stato vegetativo è una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di un’attività di veglia in assenza di una consapevolezza cosciente di sé e dell’ambiente circostante: i pazienti possono avere riflessi complessi, che includono movimenti oculari, sbadigli, e movimenti involontari in risposta a stimoli dolorosi, ma senza mostrare consapevolezza di se stessi o dell’ambiente che li circonda. Uno stato di minima coscienza invece è tale quando il paziente, sempre in seguito a GCA, mostra alcune prove di consapevolezza di sé e per l’ambiente.
Il percorso di cura e le sue conseguenze
In entrambi i casi il quadro clinico è particolarmente complesso. Nelle prime settimane dopo l’evento rimane infatti il rischio di evoluzione rapida verso una maggior gravità, e richiede l’utilizzo di presìdi e dispositivi impegnativi e invasivi. Dall’evento originale in avanti, il percorso del paziente si snoda attraverso diversi momenti e setting di cura, che devono tener conto dell’evoluzione clinica e quindi anche dei fabbisogni: le necessità, infatti, dopo la fase acuta della gestione prettamente medica prevedono una presa in carico che si connota come un processo ad elevata integrazione sociosanitaria.
È importante che gli attori di questo percorso non dimentichino mai che in casi di pazienti con GCA non ci si prende cura solo del paziente ma dell’intero nucleo familiare e della rete di affetti che ruota intorno al paziente stesso.
Nella maggior parte dei casi, dopo la prima fase di ospedalizzazione in rianimazione permangono conseguenze che rendono necessari interventi di carattere sanitario e sociale a lungo termine, volti ad affrontare menomazione e disabilità persistenti. Questi aspetti provocano importanti cambiamenti dello stile e della qualità della vita del soggetto, ovviamente, ma anche di tutto il nucleo familiare.
Un altro elemento da sottolineare attiene alle modificazioni, nel tempo, del profilo di bisogno delle persone con GCA e della famiglia. Sono infatti indispensabili negli operatori valori come sensibilità, cultura ed attenzione per cogliere questi cambiamenti e quindi fare valutazione, pianificazione e realizzazione di interventi mirati, adottando cioè una prospettiva dinamica, in profondo contrasto con un approccio tendenzialmente statico fondato su concetti come cronicità e stabilizzazione.
Ogni intervento (sanitario, riabilitativo, assistenziale) dovrebbe essere integrato in un progetto di presa in carico globale e individuale, pianificato e condotto attraverso una funzione di case management personalizzato.
Si tratta di pazienti molto fragili, nei quali le complicanze – dovute principalmente al prolungato allettamento e all’assenza di movimento – sono un fattore che va sempre tenuto ben presente. Ad ogni modo, la necessaria attenzione alla clinica non deve giustificare la permanenza in ambienti molto ospedalizzati e l’assenza di interventi che coinvolgano invece altre sfere e che aiutino l’interazione affettiva ed emotiva con la rete parentale. Le aree del fabbisogno si manifestano quindi con la necessità di interventi medico internisti ma soprattutto di natura riabilitativa, assistenziale e di nursing nonché psicologica.
La tutela della famiglia
Vanno instaurate strategie per la tutela della rete familiare e per la riduzione del carico emotivo proprio attraverso il coinvolgimento attivo dei familiari stessi, condividendo gli obiettivi riabilitativi, e grazie anche a strategie di empowerment dei familiari che si riconoscano un ruolo specifico nell’ambito del processo riabilitativo ed assistenziale.
Non ultimo, va considerata la possibilità di rientro e assistenza a domicilio, obiettivo auspicabile soprattutto quando si tratta di pazienti giovani: quando questo è possibile, la famiglia viene supportata nella creazione e nel mantenimento del contesto migliore, con tutti i presìdi e i dispositivi medici necessari nonché con accessi programmati delle diverse figure professionali che, ruotando regolarmente intorno al paziente e supportando la famiglia, possono garantire la stabilità del quadro clinico.
Invece laddove questa possibilità sia remota, la permanenza non può essere in un ambito ospedaliero in senso stretto: peraltro, i pazienti trattati in reparti dedicati mostrano una minore incidenza di mortalità e una miglior prognosi rispetto a quelli trattati reparti non dedicati.
Il caso virtuoso di Korian in Toscana
Alcune Regioni, negli ultimi anni, si sono occupate di organizzare i percorsi assistenziali per questi pazienti. Ad esempio, la Toscana (che conta poco meno di 350 persone affette da GCA) ha predisposto diversi strumenti. Ha in questo senso approvato, su proposta del Consiglio Sanitario Regionale, il “Percorso assistenziale delle persone con gravi cerebrolesioni acquisite”, si è dotata delle “Linee di indirizzo per l’assistenza alle persone in stato vegetativo e stato di minima coscienza” e nel 2018 ha stabilito che le aziende sanitarie provvedano all’attivazione delle “Unità per Stati Vegetativi” (USV) e delle “Speciali Unità di Accoglienza Permanente” (SUAP), rispettivamente rivolte a persone in stato vegetativo e persone in stato di minima coscienza. In concreto è previsto che l’organizzazione delle aziende sanitarie preveda la creazione di USV e SUAP, che si contraddistinguono in base alla diversa intensità assistenziale con la quale sono organizzate le risposte alle differenti tipologie di bisogno presente. Le figure fondamentali del percorso assistenziale sono il fisiatra, l’internista, il neurologo, il fisioterapista, l’infermiere, l’assistente sociale e lo psicologo.
L’assistenza erogata in queste strutture è naturalmente a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Da molti anni la Casa di Cura “Villa delle Terme” si occupa di pazienti con esiti di Gravi Cerebrolesioni Acquisite.
Già in epoca pre-covid veniva proposta in Struttura l’attività della cosiddetta palestra multisensoriale, con il coinvolgimento appunto del nucleo familiare. A breve riprenderà il progetto di stimolazione polisensoriale, con nuove modalità operative. Questo progetto ha la finalità di trovare e far emergere un canale di interazione tra il paziente e l’ambiente e le persone intorno: si tratta di un approccio integrato tra le diverse figure professionali che sulla base dei principi di multi ed interdisciplinarità ruotano intorno al paziente con l’obiettivo comune di stimolare le funzioni neuromotorie e cognitive residue.
L’attività parte dall’utilizzo di test di screening e linee guida, venendo poi costruita e personalizzata in base anche alle risposte del paziente. Un’attenzione particolare meritano le attività, gli interessi e le caratteristiche proprie del paziente prima dell’evento, che vengono utilizzate come canale di rievocazione relativamente alla propria esperienza personale. Comunicare argomenti familiari, riprodurre anche passivamente attività della vita quotidiana, visionare immagini, proporre stimolazioni olfattive, acustiche e tattili rappresenta una forma di interazione possibile e primaria fondamentale.
Operativamente, si tratta di attività fisioterapiche passive ed attive e logopediche, relativamente a stimolazioni aspecifiche e specifiche sulle funzioni deglutologiche e corticali superiori, musicoterapia e pet – therapy. Parliamo di interventi, soprattutto in una fase iniziale, di natura aspecifica e divergente basate sulla sinergia tra figure professionali. Monitorizzando poi il livello di coscienza con screening e batterie standardizzate potranno delinearsi trattamenti specifici e segmentari mirati. L’obiettivo principale è trovare un canale di interazione per far sì che il paziente possa ristabilire un contatto tra il sé e l’ambiente che lo circonda sfruttando le capacità residue.