Quando si parla di ritardo del linguaggio si indica un insieme di difficoltà specifiche che compromettono la capacità linguistica del bambino. Nonostante sia molto frequente nell’età evolutiva, nella maggior parte dei casi può rappresentare solo una fase transitoria che si risolve nel giro di qualche anno, con gli opportuni accorgimenti.

Insieme al contributo delle Dottoresse Marta Tamagnone e Martina Chiadò Piat, Logopediste presso il Poliambulatorio Korian di Villa Ida, abbiamo voluto in questo senso analizzare le fasi dello sviluppo fisiologico del linguaggio e successivamente le varie tipologie di ritardo del linguaggio, per chiarire cos’è, come riconoscerlo e come intervenire.

Ritardo del linguaggio: partiamo dalle fasi evolutive

Partiamo da un importante presupposto: conoscere le fasi evolutive del linguaggio permette di scorgere i campanelli d’allarme per riconoscere i sintomi del ritardo del linguaggio o di disturbo specifico nello sviluppo dello stesso.

Ci sono infatti specifiche tappe del linguaggio che ogni bambino attraversa e che si possono prendere come spunto per individuare un probabile ritardo nello sviluppo del linguaggio. In condizioni normali, un bambino attraversa quindi queste fasi:

Lallazione

Il bambino a circa 6/7 mesi comincia a produrre suoni ripetitivi di vocali e di consonanti. Sono i suoi primi fonemi che lo divertono e lo stimolano a continuare nella vocalizzazione.

Comunicazione verbale intenzionale

Verso i 9-12 mesi cresce la capacità di interagire con le altre persone. Il piccolo cerca di comunicare le sue richieste o i suoi bisogni e si sentono per la prima volta anche le parole mamma e papà.

Prime parole

A partire dai 12 mesi, il bambino esprime le sue prime parole e il suo vocabolario diventa sempre più ricco con il passare del tempo. Aumenta anche la sua capacità espressiva sia verbale che non verbale.

Ampliamento del vocabolario

Dai 12 ai 24 mesi, i bambini arrivano a conoscere ed utilizzare anche più di un centinaio di termini, che apprendono dalle proposte fatte dai genitori, dagli scambi relazionali e dall’ambiente che li circonda.

Capacità di formare frasi complete

Dai 24 ai 36 mesi, la capacità linguistica del bambino si è sviluppata e gli consente di articolare delle frasi di senso compiuto. Il bambino che giunge ai 3 anni possiede una capacità di linguaggio espressiva e ricca di vocaboli. Dialoga con gli altri, fa delle domande e parla correttamente con frasi sempre più lunghe.

Ritardo del linguaggio che cos’è?

Una volta affrontate le tappe evolutive, entriamo quindi nel merito del ritardo del linguaggio. Non resta quindi che domandarsi che cos’è un ritardo del linguaggio? I bambini tra i 18 e i 36 mesi possono infatti presentare un ritardo nella prima comparsa del linguaggio, un ritmo di sviluppo lento e prestazioni simili a quelle dei bambini più piccoli.  Questi bambini sono chiamati “parlatori tardivi”. Alcuni di essi recuperano entro i 3 anni (late bloomers), mentre in altri casi i disturbi possono evolvere in Disturbi Specifici di Linguaggio.

Che cosa sono i Disturbi Specifici del Linguaggio?

Da definizione, i Disturbi Specifici di Linguaggio (o Disturbi Primari di Linguaggio) rappresentano un insieme eterogeneo di disordini e difficoltà in uno o più ambiti dello sviluppo linguistico in assenza di deficit cognitivi, sensoriali, motori, affettivi e di importanti carenze socio-ambientali. La prevalenza dei Disturbi Primari di Linguaggio in età prescolare si stima generalmente intorno al 6-8%, mentre in età scolare tale prevalenza scende fino all’1-2%.

È importante valutare precocemente se il linguaggio presenta uno sviluppo tipico o atipico in quanto un Disturbo Primario di Linguaggio può evolvere in un disturbo di apprendimento della lettura, scrittura e/o calcolo nei primi anni scolastici.

Come riconoscere un ritardo del linguaggio?

Come riconoscere un ritardo del linguaggio? Generalmente i genitori sono particolarmente attenti ai disturbi dell’apprendimento e del linguaggio che sorgono in tenera età nei propri figli. In ogni caso, oltre a monitorare la fase di crescita, è sempre bene in caso di dubbio consultare uno specialista. I sintomi principali del ritardo del linguaggio generalmente si identificano in:

  • Familiarità per ritardo o disturbo di linguaggio;
  • Otiti ricorrenti e fluttuanti tra il primo e il secondo anno di vita;
  • Assenza della lallazione (ripetizione di due o più sillabe) fino ai 10 mesi, o una produzione scarsa e indifferenziata;
  • Assenza di utilizzazione dei gesti per comunicare a 12-14 mesi;
  • Vocabolario inferiore alle 50 parole intorno ai 24 mesi;
  • Assenza di combinazione di almeno due parole ai 36 mesi;
  • Assenza o ridotta presenza del gioco simbolico a 24-30 mesi;
  • Produzione di frasi con meno di 3 parole ai 38 mesi

Che cosa fa il Logopedista?

A molte persone capita spesso di domandarsi che cos’è la Logopedia e quindi di conseguenza che cosa fa il Logopedista. La Logopedia si occupa di favorire lo sviluppo dei prerequisiti del linguaggio e di potenziare/riabilitare la comprensione e produzione del linguaggio su vari livelli al fine di promuovere al meglio le abilità comunicativo-relazionali del bambino.

Questo perché è molto importante intervenire precocemente ed evitare che un semplice ritardo si trasformi poi in un disturbo più difficile da correggere e che potrebbe condizionare l’apprendimento, le relazioni sociali e talvolta diventare causa di disagio psicologico per il vostro bambino!

Quando rivolgersi ad un logopedista?

Ecco perchè, se a 36 mesi un bambino presenta ancora difficoltà in comprensione e/o nella produzione del linguaggio, vi consigliamo di indagare le possibili cause ritardo del linguaggio, attraverso una valutazione logopedica completa degli aspetti comunicativi e linguistici e, se necessario, approfondendo con una visita Neuropsichiatrica Infantile (NPI) e con una visita Otorinolaringoiatrica (se necessario escludere problemi uditivi).

Presso l’ambulatorio della Struttura di Villa Ida è in questo senso possibile effettuare trattamenti logopedici personalizzati sulla base delle difficoltà del bambino comprendenti di anamnesi e incontro conoscitivo con la famiglia, test standardizzati per la valutazione delle abilità socio-comunicativo-linguistiche, stesura della relazione clinica ed eventuale piano di lavoro personalizzato, creazione di una rete interdisciplinare con la scuola, la famiglia e le altre figure professionali.

Cosa fare e cosa non fare se il bambino non parla?

Un ultimo consiglio. Siamo infatti sicuri che più volte vi siate domandati cosa fare, ma anche cosa non fare se il vostro bambino non dovesse parlare. Nel primo caso, accoglietelo poiché ha bisogno di sentirsi comunque compreso e ascoltato, ma allo stesso tempo incentivatelo, per fargli sapere che siete lì per lui. Concedetegli i giusti spazi comunicativi, gli sarà utile per capire meglio quando inserirsi, e siate un buon modello. Parlate lentamente utilizzando termini semplici, ed infine costruite frasi non troppo lunghe variando intensità ed intonazione

Ci sono poi alcune cose assolutamente da non fare, come domandargli insistentemente di ripetere fino a che non produrrà una formula corretta, ma anche fare finta di non capirlo o chiedergli di sforzarsi a parlare.

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