Endometriosi
L’endometriosi è una malattia ginecologica cronica caratterizzata dalla presenza di cellule dell’endometrio, il tessuto che riveste la cavità uterina, al di fuori dell’utero. In particolare, in questa condizione le cellule endometriali possono essere presenti nei legamenti uterosacrali (che si trovano intorno all’utero), nelle tube, nelle ovaie, sulla superficie uterina (invece che all’interno dell’organo) e nel peritoneo (la membrana che riveste parte della cavità pelvica, oltre all’intestino); più raramente a livello di cervice, vagina e organi quali per esempio stomaco, intestino e vescica.
Le cellule endometriali ectopiche, cioè al di fuori della loro sede fisiologica nell’utero, determinano un’infiammazione cronica, che può dare origine a tessuto cicatriziale e aderenze.
Si tratta di una malattia frequente: si stima che interessi il 10% circa delle donne in età riproduttiva in tutto il mondo e, in Italia, sono almeno 3 milioni le donne con una diagnosi conclamata.
L’endometriosi è considerata una patologia dell’età riproduttiva: si può presentare fin dal menarca (la prima mestruazione) o in età più avanzata; l’incidenza è massima tra i 30 e i 40 anni ma può, in alcuni rari casi, persistere anche dopo la menopausa. Inoltre, in casi eccezionalmente rari, l’endometriosi è stata riscontrata anche negli uomini.
Quali sono le cause dell’endometriosi?
L’endometriosi è una malattia idiopatica: significa che le sue cause non sono note, anche se ci sono alcune ipotesi. Per esempio, è stato osservato che l’endometriosi si presenta più di frequente in famiglie dove ci sono già donne che ne soffrono, suggerendo che possa avere delle cause genetiche, sulle quali la ricerca è in corso. Secondo un’altra ipotesi, la causa potrebbe essere nella mestruazione retrograda, ossia il passaggio di parte del sangue mestruale, che contiene cellule endometriali, nelle tube di Falloppio e nella cavità peritoneale. Si tratta di un fenomeno relativamente comune e che di norma non ha conseguenze, ma che può causare l’adesione e la crescita delle cellule endometriali al di fuori della loro sede fisiologica (l’utero).
È stato anche suggerito che l’endometriosi origini da cellule staminali, cioè non ancora differenziate, dell’endometrio che, diffuse nel corpo attraverso la circolazione sanguigna e linfatica, si differenziano in distretti dell’organismo diversi dall’utero. Un’altra teoria ipotizza che possa derivare dalla trasformazione (metaplasia), per esempio dell’epitelio peritoneale, in cellule endometriali.
Due altri fattori che potrebbero avere un ruolo sia nell’insorgenza sia nello sviluppo dell’endometriosi sono le alterazioni del sistema immunitario, che potrebbe non essere in grado di riconoscere ed eliminare le cellule endometriali ectopiche, e gli ormoni. È noto, infatti, che il tessuto endometriale ectopico presenta recettori per gli ormoni femminili (estrogeni e progesterone) come quello fisiologico. Questa caratteristica è la responsabile chiave dei sintomi dell’endometriosi: le cellule ectopiche, infatti, rispondono agli stessi stimoli ormonali delle cellule endometriali normali, e quindi sono sottoposte alle stesse variazioni del ciclo mestruale e ovarico.
Questo meccanismo spiega anche perché la malattia generalmente regredisce con la menopausa, quando si interrompe la produzione ormonale da parte delle ovaie. Ulteriori fattori di rischio sono rappresentati da menarca precoce, menopausa tardiva, cicli mestruali brevi (inferiori ai 27 giorni), gravidanza ritardata e nulliparità (condizione che indica le donne che non hanno mai partorito).
Tutte queste ipotesi non si escludono a vicenda, ma nessuna si è dimostrata del tutto in grado di spiegare l’insorgenza di endometriosi, che probabilmente origina da diversi fattori.
Qualunque sia la causa originale, l’infiammazione provocata dal tessuto ectopico può causare nel tempo la comparsa di aderenze e tessuto cicatriziale (fibrosi), responsabili dei sintomi. Possono anche formarsi cisti dette endometriomi, ossia cisti contenenti sangue, soprattutto nelle ovaie.
Quali sono i sintomi dell’endometriosi?
Quando presenti, i sintomi più comuni dell’endometriosi sono dismenorrea (dolore che precede e/o accompagna le mestruazioni), dispareunia (dolore pelvico durante il rapporto sessuale) e infertilità (o fertilità ridotta, con difficoltà a restare incinta). Tuttavia, è importante notare che l’endometriosi può anche essere associata ad altri sintomi, tra cui un dolore cronico nella zona pelvica, mestruazioni particolarmente abbondanti, sanguinamenti nel periodo tra una mestruazione e la successiva, nausea e affaticamento.
I sintomi possono variare a seconda della localizzazione del tessuto endometriale al di fuori dell’utero: per esempio, quando si trova nella vescica, il dolore può presentarsi durante la minzione (quando si urina) e la defecazione. Se localizzato a livello delle ovaie, può formare una massa cistica detta endometrioma che, occasionalmente, si rompe causando dolore addominale acuto e infiammazione del peritoneo.
Pertanto, i sintomi dell’endometriosi possono essere confusi con quelli associati ad altre condizioni (per esempio la sindrome dell’intestino irritabile o la malattia infiammatoria pelvica): il dolore è il denominatore comune, e può influenzare anche la sfera affettiva e lavorativa/scolastica, e portare ad ansia e depressione, ma non sempre corrisponde all’estensione della malattia. In effetti, molte donne sono asintomatiche, anche con endometriosi estesa; in altri casi, invece, anche un’endometriosi limitata per estensione e profondità può associarsi a dolore intenso e invalidante. Inoltre, anche se può ridurre la fertilità, l’endometriosi non impedisce necessariamente la gravidanza.

Come si arriva alla diagnosi di endometriosi?
Spesso la diagnosi di endometriosi avviene accidentalmente, in seguito a esami eseguiti per altre ragioni. Inoltre, anche a causa della varietà e variabilità dei sintomi, non è infrequente che occorrano diversi anni per arrivare alla diagnosi.
Per la diagnosi è necessario rivolgersi a un/a ginecologo/a, che inizierà raccogliendo l’anamnesi della paziente, volta soprattutto a valutare i sintomi e la loro persistenza nel tempo. All’anamnesi si associa un esame fisico e strumentale. Il più comune è l’ecografia transvaginale, un accertamento che consente di osservare utero, ovaie, tube, vescica, ureteri e altri organi circostanti l’apparato riproduttivo. In questo modo, è possibile verificare per esempio la presenza di cisti e lesioni endometriosiche. Nei casi in cui l’endometriosi non interessi l’apparato riproduttivo ma, per esempio, intestino e ureteri, il medico può consigliare una risonanza magnetica della pelvi.
Questi esami possono tuttavia non essere sufficienti a individuare un’endometriosi poco estesa e può pertanto essere necessario ricorrere a una laparoscopia diagnostica, che consiste in un’esplorazione della cavità addominale con una sonda a fibre ottiche, introdotta nell’addome attraverso piccole incisioni. La sonda è dotata di una luce e di una videocamera, per cui permette di osservare i tessuti ad alta definizione. Eventualmente, durante la laparoscopia può essere eseguita anche una biopsia, cioè un prelievo del tessuto anomalo, per procedere con esami istologici più approfonditi.
In base a fattori quali la quantità di tessuto endometriale ectopico, la posizione in superficie o in profondità degli organi, la sua posizione e il numero di aderenze, l’endometriosi può essere classificata in quattro diversi stadi:
- stadio I, endometriosi minima: quando l’estensione è molto limitata e vi sono solo poche zone di tessuto endometriale ectopico, sulla superficie dell’organo interessato;
- stadio II, endometriosi lieve: quando le localizzazioni sono più numerose e leggermente più profonde;
- stadio III, endometriosi moderata: quando le aree di tessuto ectopico sono numerose e profonde, e si iniziano a presentare aderenze sottili o piccoli endometriomi;
- stadio IV, endometriosi grave: quando le aree di tessuto ectopico sono numerose e si trovano in profondità; le aderenze sono numerose e spesse.
In Italia, le endometriosi di stadio III e IV sono inserite tra i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti del Ministero della salute, e pertanto vi è il diritto di esenzione per alcune prestazioni mediche specialistiche.
Come si previene l’endometriosi?
Purtroppo, non sono disponibili strategie per prevenire l’endometriosi. Tuttavia, per limitarne la progressione e mitigarne i sintomi, è importante segnalare al proprio medico e ginecologo eventuali sintomi e sottoporsi a visite regolari, così da favorire una diagnosi e un inizio tempestivo del trattamento.

Qual è il trattamento dell’endometriosi?
L’endometriosi non ha una cura definitiva, ma può essere trattata per ridurne l’estensione e i sintomi. Il trattamento dell’endometriosi inizia con una terapia farmacologica, principalmente analgesici non steroidei per il dolore e contraccettivi ormonali (combinati, estro-progestinici, oppure con soli progestinici) per inibire il rilascio degli ormoni sessuali, riducendo l’infiammazione e limitando così la progressione della malattia. Nei casi in cui non sia possibile assumere i contraccettivi combinati, il medico può suggerire una terapia basata su altri farmaci che agiscono comunque inibendo la produzione ormonale, quali per esempio gli agonisti del GnRH. Per la mitigazione dell’infiammazione, inoltre, diversi esperti suggeriscono di adottare una dieta ricca di grassi omega-3 e antiossidanti.
Gli stadi III e IV (endometriosi moderata e grave) possono richiedere un intervento chirurgico. L’intervento laparoscopico, che si basa sulle stesse modalità descritte per la diagnosi dell’endometriosi, consente di rimuovere il tessuto ectopico superficiale ed eventuali endometriomi, nonché di risolvere le aderenze tra i tessuti. È bene considerare che questo tipo di interventi, pur avendo il vantaggio di poter essere eseguiti con tecniche a invasività minima, non rappresentano una cura risolutiva per la patologia, perché l’endometriosi tende a presentare recidive, ricomparendo dopo un certo lasso di tempo.
Nei casi più gravi può essere consigliata l’isterectomia (con o senza la rimozione delle ovaie). In questi casi, a seguito dell’intervento, in particolare per le donne di età inferiore ai cinquant’anni, è di norma consigliata una terapia ormonale per prevenire la menopausa precoce.
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Korian Redazione
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