Esami per controllare la tiroide: quali sono e quando farli
Aumentare o viceversa perdere peso nonostante la dieta non sia cambiata, cominciare ad avere sempre freddo o al contrario sempre caldo. E poi magari altri sintomi: una stanchezza cronica, resistente a ogni forma di riposo, il senso di debolezza, o ancora il cuore che inizia a battere più veloce o più lento. Sintomi che coinvolgono pelle, unghie e capelli e alterano l’aspetto del viso, che si manifestano con stipsi o diarrea. I segnali dei problemi alla tiroide sono disparati, perché questo piccolo organo dalla forma a farfalla ha un ruolo che potremmo definire di “motore” di tutto il corpo. Così, quando inizia a funzionare troppo, come avviene nell’ipertiroidismo, o al contrario troppo poco, come avviene nell’ipotiroidismo, i sintomi si presentano a livello di diversi organi e apparati.
La buona notizia è che la diagnosi di queste due patologie richiede di base semplici esami del sangue: vediamo quali permettono di valutare la funzionalità della tiroide.
Gli squilibri della tiroide, quando il motore va fuori giri
Iper- e ipotiroidismo sono in un certo senso le due facce della stessa medaglia. La tiroide, abbiamo detto, è un po’ un motore del corpo: produce infatti due ormoni, la tiroxina o T4 e la triiodotironina o T3, che permettono di regolare il metabolismo basale dell’organismo. In altre parole, gli ormoni tiroidei consentono di regolare il consumo di ossigeno e la produzione di calore nei tessuti, stimolando il metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine – tutti quei processi biochimici che ci consentono di mantenere le nostre funzioni vitali.
Se questi ormoni vengono prodotti in eccesso (la condizione di ipertiroidismo), il metabolismo basale aumenta, causando sintomi come la perdita di peso, ingiustificata dall’alimentazione, la continua sensazione di calore, le palpitazioni cardiache, per citarne solo alcuni. Se, al contrario, gli ormoni tiroidei sono prodotti in quantità insufficiente, ecco presentarsi l’aumento di peso, il freddo continuo, la bradicardia caratteristici dell’ipotiroidismo.
Diverse sono le cause alla base di queste patologie. Tra quelle più comuni alla base di entrambe vi possono essere le tiroiditi, cioè infiammazioni della ghiandola tiroidea; più di rado possono originare da squilibri nell’assunzione di iodio, un sale minerale fondamentale per la produzione degli ormoni tiroidei. Anche le malattie autoimmuni possono essere causa di disturbi alla tiroide: la tiroidite di Hashimoto, per esempio, è una comune causa di ipotiroidismo, mentre la malattia di Basedow-Graves è una delle principali cause di ipertiroidismo autoimmune. A volte, il problema potrebbe non risiedere nemmeno nella tiroide in sé ma nella ghiandola che ne regola il funzionamento: l’ipofisi, localizzata nel cervello.
Disturbi della tiroide: gli esami necessari per la diagnosi
Sebbene entrambi questi disturbi possano presentarsi in ambedue i sessi e a ogni età, sono più frequenti nelle donne, soprattutto dopo i sessant’anni. L’iter per la diagnosi può iniziare con il/la medico/a di famiglia, anche se può essere necessaria la consulenza di un/a specialista in endocrinologia. Il primo step è la raccolta dei sintomi e dell’anamnesi, che permette di valutare anche la presenza di eventuali fattori di rischio; segue una visita generale che comprende la palpazione della tiroide per verificarne la dimensione (i disturbi della tiroide possono causarne un ingrossamento noto come “gozzo”).
Gli esami del sangue hanno un ruolo imprescindibile per verificare la funzionalità della tiroide: offrono dati e risposte oggettive per chiarire l’origine dei sintomi, spesso così aspecifici, indagando i livelli degli ormoni tiroidei. Oltre a valutare questi ultimi (in particolare il T4, l’ormone principale prodotto dalla tiroide), è raccomandato anche l’esame dell’ormone tireostimolante (TSH), che in effetti è il più importante per valutare la funzionalità tiroidea. Come suggerisce il nome, questa molecola, prodotta dall’ipofisi, regola la funzionalità della tiroide: eventuali anomalie permettono di identificare non solo possibili problemi ipofisari (che a loro volta alterano la funzionalità tiroidea) ma anche per stabilire se l’iper- o ipotiroidismo sono clinici (o conclamati) oppure subclinici. La distinzione tra queste forme ha un ruolo prezioso nell’indirizzare il trattamento. Per approfondire il significato dei risultati di questo esame, puoi leggere il nostro articolo al riguardo: ricorda però sempre che il confronto con il/la medico/a è essenziale per un’interpretazione corretta.
Esami per controllare la tiroide: forme cliniche e subcliniche di iper- e ipotiroidismo
- Forme cliniche. Sono quelle in cui i livelli di ormoni tiroidei sono più alti o più bassi della norma. In caso di ipotiroidismo, però, i livelli di TSH sono elevati: significa che l’organismo ha rilevato la scarsità di ormoni tiroidei, e quindi l’ipofisi lavora di più nel tentativo di stimolare la tiroide ad aumentarne la produzione. In caso di ipertiroidismo, invece, l’ipofisi risponde ai livelli eccessivi di ormoni tiroidei inibendo la propria produzione di TSH: nelle forme cliniche di questa condizione, quindi, i livelli di TSH sono più bassi del normale (e quelli di ormoni tiroidei più elevati).
- Forme subcliniche. Sono le forme in cui i sintomi sono ancora lievi, se non assenti. In questi casi, i livelli di ormoni tiroidei possono ancora essere nella norma: a essere alterati sono invece i soli valori del TSH. L’esame di questo ormone è dunque prezioso per riconoscere in modo tempestivo i problemi di funzionalità della tiroide prima che i sintomi siano evidenti.
Alla ricerca della causa: altri esami per la tiroide
Il/la medico/a può raccomandare ulteriori esami per meglio indagare le cause dell’alterata funzionalità della tiroide. Questi possono comprendere l’ecografia della tiroide e la scintigrafia per valutare lo stato della ghiandola e identificare eventuali anomalie (in particolare la presenza di noduli che possono essere la causa dell’ipertiroidismo) e, soprattutto, esami del sangue per la ricerca di anticorpi, anche detti immunoglobuline, che indicano la presenza di una condizione autoimmune. Vediamo meglio questi ultimi, preparandoci ad affrontare un po’ di sigle.
Esami del sangue per i disturbi autoimmuni della tiroide
- Anticorpi anti-tireoglobulina (TgAb). La tireoglobulina è una molecola necessaria come precursore per la sintesi degli ormoni tiroidei. In alcune forme autoimmuni, l’organismo produce anticorpi contro la tireoglobulina, detti appunto anticorpi anti-tireoglobulina; di solito il loro esame è associato a quello dei TPOAb, prossimi protagonisti di questo elenco.
- Anticorpi anti-perossidasi tiroidea (TPOAb). Sono di nuovo indici di una condizione autoimmune: si tratta infatti di auto-anticorpi diretti contro la tireoperossidasi, un enzima fondamentale per la sintesi degli ormoni tiroidei.
- Anticorpi anti-recettori dell’ormone stimolante la tiroide (TSHRAb). Sono auto-anticorpi che agiscono contro il recettore delle cellule della tiroide che le consentono di “ricevere” il messaggio ormonale del TSH e, quindi, di regolare la produzione ormonale. Vi sono due tipi di TSHRAb:
- le immunoglobuline stimolanti la tiroide (Thyroid Stimulating Immunoglobulins, TSI), che determinano un aumento di produzione ormonale e sono associati alla più comune forma di ipertiroidismo autoimmune, la malattia di Basedow-Graves;
- le immunoglobuline bloccanti la tiroide (Thyroid Blocking Immunoglobulins, TBII), che al contrario inibiscono la produzione ormonale, associandosi a forme autoimmuni di ipotiroidismo.
Alcuni di questi esami sono particolarmente importanti in caso di gravidanza, come forma di monitoraggio per le donne che hanno già ricevuto una diagnosi. In particolare, il TSI associato alla malattia di Basedow-Graves è in grado di attraversare la placenta e stimolare la tiroide del feto, con potenziali conseguenze dannose per il bambino. Mantenere monitorati suoi livelli durante la gestazione è dunque fondamentale, anche perché la stessa gravidanza può determinare peggioramenti della malattia, con rischi sia per la madre sia per il figlio.
Per concludere: quando e come fare gli esami per la tiroide
Tutti gli esami citati fin qui sono fondamentali per la diagnosi e, spesso, per il monitoraggio dei disturbi della tiroide. La decisione sul momento migliore per farli deve essere presa con il/la proprio/a medico/a curante, che li indicherà nel caso sospetti un problema di iper- o ipotiroidismo (non sono un esame di routine, anche se possono essere utili come monitoraggio in presenza di fattori di rischio) e per valutare l’evoluzione della patologia e l’efficacia del trattamento. In caso di gravidanza, soprattutto in presenza di alcune forme di ipertiroidismo, è necessario un monitoraggio più frequente.
Si tratta di esami semplici e non invasivi che richiedono solo un prelievo di sangue e nessuna preparazione specifica, sebbene a volte sia richiesto il digiuno nelle ore precedenti l’esame. Tuttavia, è importante informare il/la medico/a se si stanno assumendo farmaci o integratori, perché potrebbero interferire con la produzione di ormoni tiroidei, e per le donne può essere utile anche indicare la fase del ciclo mestruale. Inoltre, è di norma richiesto di non fumare, non bere alcolici e non fare attività fisica intensa prima dell’esame.