Di cosa parliamo quando parliamo di alopecia femminile
Dal mondo antico ai social di oggi, i capelli sono sempre stati un simbolo di femminilità. Così, quando cadono o si diradano in una donna, il problema può non essere solo estetico ma colpire anche l’autostima, la sicurezza nelle relazioni, la sicurezza in sé stesse.
Ma da cosa dipende la perdita dei capelli? Quali sono le differenze tra uomini e donne? E soprattutto: esiste una cura?
Alopecia femminile: cos’è, tipi e cause
La mancanza o la caduta dei capelli, quella che spesso chiamiamo genericamente calvizie, in medicina ha un nome preciso: alopecia. Può interessare tanto gli uomini quanto le donne: parlare di alopecia femminile quindi, non ha un senso strettamente medico, anche se può sicuramente essere utile in termini divulgativi quando ci si concentra su donne che soffrono di alopecia.
Esistono vari tipi di alopecia. Nella maggior parte dei casi, il termine alopecia femminile è riferito all’alopecia androgenetica, che rappresenta anche la forma più diffusa (non solo tra le donne) ed è legata a una risposta alterata dei recettori dei follicoli piliferi (le strutture da cui cresce il capello) all’ormone diidrotestosterone (DHT), un derivato del testosterone. Questa forma di alopecia è legata alla predisposizione genetica: significa che, pur non essendoci un singolo gene noto per causarla, vari geni possono influenzare la probabilità che si presenti e tende a ricorrere nelle famiglie. È anche una condizione in cui si può parlare di differenze tra sessi, o meglio:
- l’alopecia androgenetica maschile inizia di solito con un diradamento ai lati della fronte (le cosiddette “stempiature”) e il processo prosegue coinvolgendo la parte superiore e posteriore della testa
- l’alopecia androgenetica femminile è invece di solito caratterizzata da una diradazione più diffusa dei capelli, che tende a concentrarsi sulla parte centrale e superiore del capo, dove la scriminatura appare più larga. Diversamente dagli uomini, però, le donne di solito mantengono intatta l’attaccatura frontale: non si formano le stempiature.
Nell’alopecia androgenetica femminile e maschile si riconoscono di norma differenti stadi in base all’avanzamento della perdita dei capelli.
Quella androgenetica non è comunque l’unica forma di alopecia. Un altro esempio è l’alopecia areata*, una condizione che si ritiene essere autoimmune ed è caratterizzata dalla perdita dei capelli in aree ben delimitate. Ancora, il telogen effluvium è una perdita di capelli non totale ma che coinvolge tutto il cranio e che si verifica di solito dopo un evento scatenante (trigger). Questo per citare solo alcuni esempi: le cause e le forme di alopecia femminile o maschile sono infatti svariate.
Alopecia femminile: si guarisce? A chi rivolgersi e trattamenti disponibili
L’alopecia non è di per sé una condizione pericolosa per l’organismo. Ma lo può sicuramente essere per il benessere psicologico di chi ne soffre – soprattutto, ma non certo esclusivamente, se chi ne soffre è donna. Non può certo stupire che una delle domande più comuni sul tema sia «Ma dall’alopecia femminile si guarisce?». La risposta non è univoca, perché dipende intanto dal tipo specifico di alopecia: per esempio, il telogen effluvium si risolve di solito in modo spontaneo nell’arco di sei mesi circa. In generale, però, non esiste una cura risolutiva per l’alopecia, che consenta di arrestare in modo definitivo la perdita di capelli e permettere la ricrescita di quelli nuovi. Esistono però trattamenti specifici che possono aiutare in entrambi i sensi.
La figura di riferimento per l’alopecia femminile è il/la dermatologo/a, soprattutto quando ha esperienza in tricologia (la condizione può anche essere legata ad altre patologie, come per esempio la sindrome dell’ovaio policistico o il lupus, e in questo casi possono essere coinvolti/e altri/e specialisti). Dopo aver stabilito, con una visita accurata ed eventualmente esami specifici, il tipo di alopecia, il/la dermatologo/a può raccomandare il trattamento o i trattamenti più idonei. Questi possono comprendere farmaci o anche altri approcci. Per esempio:
- il minoxidil è un farmaco nato come antipertensivo ma che, secondo meccanismi non del tutto chiariti, si è rivelato anche in grado di stimolare la crescita dei capelli. È il più usato per il trattamento dell’alopecia androgenetica femminile e maschile e, a volte, può essere una strategia di seconda linea anche per l’alopecia areata
- un altro farmaco che può essere raccomandato per l’alopecia androgenetica è la finasteride, che agisce sull’enzima che permette la conversione del testosterone in DHT
- ancora, l’alopecia androgenetica femminile può essere trattata con antiandrogeni orali (che possono essere usati anche negli uomini, ma vanno valutati con attenzione possibili effetti avversi)
- l’alopecia areata sembra invece avere una base autoimmune, per cui la prima linea di trattamento è basata di solito su corticosteroidi, immunoterapia topica o anche farmaci biologici, di recente introduzione
- se possibile, cioè se vi è un’area “donatrice” sufficiente, in caso di alopecia androgenetica si può anche valutare la possibilità del trapianto di capelli (vale la pena ricordare che questa non ferma comunque la perdita di capelli, per cui di norma deve essere associata ad altre terapie)
Alopecia femminile, la vera sfida è culturale
Mentre la scienza continua a cercare strategie sempre più efficaci per rallentare o contrastare la perdita dei capelli, resta aperta un’altra sfida: quella culturale. Perché l’alopecia femminile può diventare lo specchio di aspettative sociali e stereotipi radicati; affrontarla può essere specchio del modo in cui riconosciamo e rappresentiamo il corpo delle donne. E così l’alopecia può portare con sé problemi di autostima, senso di isolamento, insicurezza. Dovremmo invece imparare a raccontarla come una mancanza di capelli, certo, ma non di valore né di identità.
Oggi si stanno moltiplicando testimonianze e comunità online di donne che hanno scelto di mostrarsi senza paura, ribaltando l’idea che i capelli siano un presupposto necessario per la bellezza o la femminilità. È forse anche da qui che può nascere la vera “cura”: non solo farmaci o trapianti, ma una narrazione capace di restituire libertà di espressione e fiducia in sé stesse.