Dolorosa, cronica, estremamente complessa: la fibromialgia (linkare successivamente la patologia), o più propriamente sindrome fibromialgica, è una patologia diffusa (secondo la Società italiana di reumatologia, può interessare fino a 2 milioni di persone solo nella nostra penisola), soprattutto tra le donne. 

Le cause della fibromialgia non sono del tutto note, anche se sono stati evidenziati alcuni fattori di rischio; i sintomi interessano diversi organi e apparati, manifestandosi spesso con senso di affaticamento, disturbi del sonno e problemi cognitivi come la difficoltà di concentrazione e di memoria a breve termine – ma anche comorbidità come l’emicrania, i disturbi uro-genitali e molti altri. Ma, tra tutti, è senz’altro il dolore il più distintivo, caratteristico della fibromialgia. In effetti, non essendo a oggi disponibili altri criteri diagnostici, come esami di laboratorio o strumentali, che consentano di riconoscere la fibromialgia (anche se sono stati sviluppati alcuni questionari che aiutano a caratterizzarla), la diagnosi si è a lungo incentrata proprio sulle caratteristiche del dolore, o più precisamente sui cosiddetti tender points. Cerchiamo di capire meglio cosa sono e che ruolo hanno oggi in termini diagnostici.

Cosa sono i 18 tender points della fibromialgia

Partiamo da una premessa: la strada per inquadrare i tender points nel modo più efficace è stata tutt’altro che lineare. D’altronde, lo abbiamo detto: la fibromialgia è una malattia complessa, e tutt’oggi la diagnosi può richiedere diversi anni.

Il concetto di tender points risale ai primi criteri diagnostici proposti per la fibromialgia, negli anni Settanta: sono punti di maggior dolorabilità, localizzati su entrambi i lati del corpo in specifiche sedi muscolo-scheletriche. In altre parole, sono aree in cui si percepisce il dolore anche applicando una pressione leggera, e privi di segni di infiammazione o altre lesioni. In tutto sono 18, divisi in nove coppie bilaterali. I tender points, inoltre, sono gli stessi nell’uomo e nella donna, anche se le donne tendono ad avere una sensibilità maggiore. 

I criteri diagnostici pubblicati nel 1990 dall’American College of Rheumatology si focalizzavano sul dolore diffuso sopra e sotto il busto, da entrambi i lati del corpo, e sulla dolorabilità alla palpazione (digitopressione) di almeno 11 tender points su 18. Attenzione: la positività dei tender points non aveva comunque a che vedere con la gravità della fibromialgia.

I tender points non sono (più) un criterio diagnostico per la fibromialgia

Nella pratica clinica, però, l’uso dei tender points punti dolenti come criterio diagnostico era tutt’altro che semplice. Intanto, questa prima classificazione non teneva in considerazione gli altri sintomi associati alla patologia. E poi, come riporta anche l’Associazione italiana sindrome fibromialgica, non vi era accordo né sul numero minimo né sull’esatta sede dei tender points; dal punto di vista pratico, il mondo medico discordava sull’opportunità di valutare il dolore manualmente, senza contare che la soglia del dolore varia da una persona all’altra e perfino per una stessa persona in momenti diversi. 

In breve: l’uso dei tender points non era assolutamente sufficiente a cogliere la fibromialgia nella sua complessità. Ecco perché i criteri diagnostici pubblicati successivamente (nel 2010, e poi nel 2016 e infine nel 2019) hanno abbandonato i tender points come elemento diagnostico. I più recenti, pubblicati dal gruppo ACTTION-American Pain Society Pain Taxonomy e oggi in vigore, prevedono un’analisi su tre dimensioni, la prima delle quali contiene i criteri essenziali per la diagnosi: 

  • dolore in almeno 6 su 9 sedi corporee
  • disturbi del sonno (moderati-gravi) o affaticabilità
  • persistenza dei sintomi per almeno tre mesi.

Altri studi sui tender “punti dolenti” della fibromialgia

Insomma, i tender points non sono più tra i criteri diagnostici per la fibromialgia. Significa che hanno perso importanza? Non del tutto: pur non avendo un valore per la diagnosi, possono averlo dal punto di vista clinico. Infatti, possono rappresentare un supporto per la diagnosi differenziale e riflettono comunque un aumento di sensibilità al dolore, tipico della fibromialgia; in alcuni casi, inoltre, possono comunque essere usati nel tempo per seguire l’evoluzione dei sintomi o la risposta al trattamento. 

Nel tempo, inoltre, la ricerca ha permesso di evidenziare altre caratteristiche di questi punti. Per esempio, vari studi hanno evidenziato che la maggior parte dei tender points coincide con i trigger points, noduli dolorosi che si presentano nei muscoli. Altre ricerche hanno mostrato che il dolore alle spalle e al collo presente in molte persone con fibromialgia è dovuto proprio ai trigger points, più che ai tender points.

A differenza dei punti dolenti, che causano un dolore localizzato quando vengono toccati, i trigger points sono in grado di causare sia il dolore localizzato sia il dolore riferito: toccando quello specifico punto, cioè, è possibile percepire dolore in un’altra zona del corpo. I trigger points sono caratteristici della sindrome miofasciale, una condizione diversa dalla fibromialgia, con la quale può comunque coesistere. Che coincidano però con i tender points è un elemento importante, sia perché rappresenta una conferma della base muscolare del dolore fibromialgico, sia perché, se una persona con fibromialgia ha anche trigger points attivi, alcuni interventi localizzati possono in parte alleviare il dolore. 

Insomma, abbandonare un criterio diagnostico non significa dimenticarlo: significa saperlo rileggere con occhi nuovi. Oggi i tender points non sono più la chiave per “capire se si ha la fibromialgia”, ma restano una traccia utile per esplorare le sfumature del dolore cronico. Perché, in fondo, ogni punto dolente racconta qualcosa che merita ancora ascolto.

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